Help. Adrian l’invisibile

I suoi occhi lucenti cercavano di brillare, nel desiderio di incrociare la pietà della gente. Erano comunque occhi di bambino impaurito. Era uno sforzo evidente, il suo. L’innocenza che fa del bisognoso un coraggioso.

Il coraggio di stare seduto a terra, nel marciapiede, all’incrocio delle vie dove i passi sono frettolosi. Dove la gente sembra non avere tempo. Corre.

Dalla terra, il suo sguardo si alzava, implorante. Help!
Accanto a lui, un tranquillo compagno, fedele e silenzioso. Nero, come il colore della vita di quel ragazzo.
Un cane fedele, raccolto chissà dove, fermo lì accanto a sé. Nella mano, un bicchierone di carta da porre ai passanti, nella speranza che vi cada dentro qualche monetina. Un corpo minuto e messo alla prova dalla fame. Due occhi lucidi. Il tutto, messo lì a terra in una caldissima giornata d’estate, dove l’asfalto accresce, impietosamente, la fatica del vivere.

Lo vedo. Non posso non avvicinarmi e chinarmi per tentare di essergli prossimo.

Si chiama Adrian, è serbo e ha circa 26 anni.
Il suo cane, “si chiama Black, – mi dice – come il colore del pelo”, con un paio di occhiali da sole fa la parte del simpatico. Ci riesce. Quando mi vede, alza la zampa e, con un gesto rapido, alza gli occhiali dagli occhi, che ormai non sono più accecati dal sole, scendendo ormai la notte. “Ha imparato da solo” mi dice Adrian, “alza e abbassa gli occhiali con la zampa”. Quando si dice intelligente.

“Ho circa 26 anni – mi ripete – mi ha cresciuto la nonna. I miei genitori mi hanno abbandonato a lei e poi sono spariti”. Si, spariti dentro le cruenti nubi di una guerra, che non ha risparmiato nessuno e ha inghiottito molti. Forse, anche quei giovani papà e mamma, appena diventati tali.

Adrian mi sorride, mentre parla. Mi dice che non è abituato a parlare. Vive solo, in strada. Ha una tenda fuori dalla città. Per lui e il fedele simpaticone Black.

Fino a poco tempo fa, viveva a Cagliari. Lavorava. “Devo pensare anche a mia nonna, ma ora il lavoro non c’è più. Non so che fare. Non trovo nulla. E così, vivo in strada. La mensa della stazione – mi dice – in questi mesi è chiusa. La gente non è molto generosa, passa e va. Ma tutti hanno i loro problemi. Li capisco.”

Parole crude, eppur tenere e rispettose. Parole di dolore e di rispetto. Parole di un bambinone buono. Almeno così appare. Adrian, uno dei tanti invisibili di questo mondo.
Ci pensavo la notte, rivedendolo nel mio meditare e ricordando le immagini di una trasmissione vista tempo fa. Uno dei tanti “invisibili”. Ma, forse, lo siamo un po’ tutti.

Sì, forse siamo o diventiamo un po’ tutti invisibili.
Quando non siamo utili a qualcuno o a qualcosa. Quando non siamo simpatici al punto giusto. Quando non ci conformiamo ai cliché imposti dalla moda del momento. Quando non abbiamo gli stessi interessi degli altri. Quando la pensiamo in modo diverso. Quando non abbiamo sufficienti possibilità economiche. Quando siamo fuori dai giochi produttivi. Quando diamo fastidio. Quando mettiamo a dura prova la pazienza degli altri, che ormai è merce rara.
È allora che diventiamo invisibili. Non servi più e, sparisci.
Invisibili, eppur vivi!

Adrian ci ha tenuto a dirmi, che “il mio nome, qui da noi, è Adriano”. Qui da noi! Non è straniero, Adriano.
È l’invisibile che gode di piena cittadinanza della terra. E dal marciapiede, i confini non si vedono. I passi e i piedi di chi incrocia il suo sguardo non hanno nazionalità, sono uguali come in ogni angolo della terra. Le differenze si creano quando ci si guarda in faccia. Peggio: quando si gira lo sguardo dall’altra parte.

Commentando le parole del Vangelo, un teologo, ci teneva a sottolineare che quando Gesù invita a mettersi in disparte per stare un po’ con lui, lo dice perché si possa riprendere fiato. Anzi, per sincronizzare e alimentare il proprio respiro con il Suo.
Questo è l’invito originale di Gesù. I suoi polmoni sono quelli che danno anima al mondo. Sono la potenza di chi ama e si lascia amare. Sono la forza dello Spirito che ci fa prendere forma e ci fa uscire dall’anonimato dell’invisibile, per diventare sempre più creatura amata e protetta, con piena cittadinanza nella creazione di Dio, dove non esistono confini.

Non dimenticherò mai gli occhi di Adriano. Non so, se mai lo incontrerò ancora. Resta per me il parlare di Dio. Un Dio che parla dal pulpito del marciapiede. Che mi invita a non disperare, se spesso mi sento invisibile. Che mi sollecita a far sì che nessuno, di quelli che incrociano il mio sguardo, si sentano invisibili. Mi offre il respiro della Sua vita, che passa attraverso la presenza di Gesù che prende forma in quanti intercettano il mio andare.

Penso ad Adriano, alla sua triste vicenda. Chissà se troverà lavoro, pensando alla sua nonna-mamma? Rivedo i suoi occhi imploranti e la bontà del suo cuore lacerato e mi chiedo: ma a me, cosa manca? Ringrazio. In silenzio, ringrazio e, riprendo fiato. Cerco di tendere una mano per far sì che tutti si sentano seduti sui marciapiedi di questa terra e imparino a respirare come lo vorrei per me: con i polmoni della vita di Gesù. Via, Verità e Vita.

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