Ciao, Michele!

Quel ponte è lì da più di 2000 anni. Testimonianza antica di risolutezza, capacità e necessità di superare gli ostacoli. Attestazione di paziente e saggia operosità di anonimi costruttori, frutto del genio umano. Silente testimone che ha sorretto, nel loro andare, fiumane di umanità.

Anche lui, già ferito dal tempo, ha pianto ieri mattina. Non ha avuto due mani da tendere per sorreggere quel tragico salto nel vuoto. Non ha potuto nulla per fermare quel salto. Ora piange con noi.

Hai scelto un ponte per cadere “su”.

Si, perché “su” forse volevi andare. E, per salire lassù, hai dovuto scendere giù.

Quel ponte ha sempre unito. Quell’arcata solenne e svettante unisce la terra con il cielo. Quell’unione che hai cercato. Un trampolino che ti ha lanciato lì, dove hai pensato di trovare pace.

In quel ponte, leggiamo secoli di storia e, da ieri, il termine di una storia. Piccola, fragile, unica e irripetibile, che in questa terra non ce l’ha fatta.

Ti abbraccio, figlio mio, figlio e fratello nostro. Non ho mai potuto farlo in vita, ma ora sei diventato famigliare di tutti. Sei diventato nostro. Solo un sentimento di affetto forte mi spinge e ci spinge ad abbracciarti e a chiederti scusa.

Scusa, se non siamo riusciti ad offrire a te e ai tanti, giovani e non, che soffrono del male di vivere, ciò che il tuo cuore desiderava e ciò che ogni uomo anela.

Hai vissuto in questo mondo fluido. Dove i piedi non sanno più dove poggiare. Un tempo, frammento di storia, indebolito. Un impasto di superficialità e vacue progettualità. Un pezzo di strada dissestato e privo di sicuri parapetti. Un tempo di schiavitù di quanti decidono per noi, e sempre al ribasso.

Non ce l’hai fatta a sopportare la fatica del vivere che attanaglia tutti. La pesantezza di una vita che ha schiacciato ogni tuo desiderio e anelito di benessere. Ci spiace. Scusa.

Ora che sei diventato di tutti, aiutaci a sentire l’urlo che ha accompagnato il tuo salto nel vuoto. Risuoni nelle coscienze di quanti, attoniti, oggi si chiedono il perché. Un urlo che invoca un desiderio legittimo che ciascuno sia sostenuto nella sua storia. Che nessuno si senta mai solo.

Ancor più risuoni in quanti abbiamo delle responsabilità sulla vita di molti.
In quei genitori, che oggi si chiedono come fare perché i figli crescano sani e forti.
Negli educatori, che con passione cercano di districarsi in adeguati percorsi educativi.
In chi ha responsabilità della cosa pubblica, che cerca, almeno ce lo auguriamo, di costruire una convivenza solida e piacevole.
Lo senta, soprattutto, chi ci sta ingabbiando in voluti e indotti stili di vita – appannaggio di successo – in realtà, superficiali e mediocri, che non garantiscono alcuna robustezza di futuro.

Aiutaci a metterci insieme. Non solo ad interrogarci, ma anche a trovare la forza nel reggersi gli uni gli altri. Sia un urlo che raggiunga i tanti giovani, come te, frutto fragile di questo tempo, che li priva di certezze e speranze. Un urlo che dica loro di non spaventarsi se la vita richiede sacrificio, costanza e lotta. Che tutto è possibile a chi … ama!

Un urlo che ci faccia capaci di amare la vita. Sempre e comunque. Ci faccia desiderosi di rifuggire dal mondo virtuale che imbriglia e schiaccia e ci liberi in sane relazioni umane che rendono bella e forte la vita.

Abbraccio te. Abbracciamo te. Piangiamo te e chi ti piange. Sperando di diventare supporto solido a chi cerca sostegno, soprattutto, a chi la vita impedisce di camminare spediti.

E quel ponte, che resterà ancora lì, ogni volta che incrocia il nostro sguardo, ci ridesti l’impegno di darsi agli altri. Di stabilire relazioni sane che sanno guardare insieme “su”!
Sì: lassù, non solo dove ti sei recato, ma dove viene la luce e la forza per non cadere nella disperazione. Quel ponte ci ricordi che mai e poi mai, nulla è impossibile a chi ama e si lascia amare.

Michele, anche se è tardi, sappi che ti vogliamo bene. Non lasciare solo chi in vita ha fatto di tutto per volerti bene. Buon viaggio!

d. Effe Bi

Un commento

  1. Il pezzo dedicato a Michele è un gioiello in cui si mescolano la migliore tradizione evangelica e una comprensione evoluta, da vero Pastore d’anime, delle debolezze e della sofferenza del suicida: non tutti i sacerdoti ce l’hanno, specie quelli più legati di altri ad una certa visione rigida dei rapporti tra Fede e peccato e del mistero che spinge una persona a rinunciare a vivere (se non sbaglio, una volta i suicidi non potevano essere sepolti in luogo consacrato ed era una autentica crudeltà).
    Mi hai commosso. Bravo veramente.
    Luca DP

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