Bentrovati, pace a voi!
Mi presento. Mi chiamo Natale.
Sono nato molti secoli fa e il mio nome originale sarebbe Dies Natalis. Poi, nel tempo, mi hanno anche chiamato Dies Natali Solis Invicti. Beh, tutto ha un significato!
Mi hanno inventato, anticamente, per festeggiare un giorno particolare dell’anno. Ahimè, sono vecchio e non ricordo tutto. Una cosa, però, la ricordo bene: il 25 dicembre si festeggiava l’avvio, lento e progressivo, del ritrarsi del buio della notte, che cedeva il passo alla luce del sole, che aveva il suo vertice a fine giugno.
I miei, mi hanno sempre raccontato che sono nato in quell’occasione. Ma non chiedetemi l’anno: è passato troppo tempo!
Era un giorno speciale, quello. Si festeggiavano le nozze tra la notte che si restringe e il giorno in continua dilatazione. Una sorta di rinascita. Di vita nuova. Quella data coincideva anche con l’inizio di un nuovo anno.
Più tardi mi chiamarono anche festa del “sole invitto”: colui che vince il buio delle tenebre e porta la luce.
Da questa mia ricorrenza hanno preso vita tanti culti, miti e tradizioni.
Tuttavia, quello che più mi ha sconvolto è stato quando hanno deciso che questa festa doveva coincidere con il Dies Natali di un uomo di Nazareth, un ebreo che ha rivelato al mondo una luce particolare. Tutta nuova!
Quell’uomo è entrato nella storia come tutti i bambini. Ha preso vita nella pancia di una ragazza già sposa, secondo le tradizioni del tempo, di un semplice artigiano di un paesino sperduto della Galilea.
Questi poveracci si erano ritrovati soli e lontani da casa, proprio mentre lei doveva partorire. In quei giorni, nella Giudea c’era tanta gente.
Molti erano i discendenti delle famiglie nobili che avevano le loro origini in quella zona. I romani, che occupavano quel territorio, avevano deciso di contarli tutti e di capire a quali “casati” appartenevano. Ogni albergo era pieno: erano tutti in over booking! Quei due giovani malcapitati hanno trovato riparo solo in una sorta di grotta, usata per il ricovero degli animali.
Ancora non trovo pace, quando ci penso!
E, ancor più, mi inquieto, quando penso che hanno sostituito la gloriosa festa romana del “sole invitto” con la data della nascita di quel bambino. Ho fatto fatica ad accettare tutto ciò! C’è voluto tempo, per capire che, davvero, quel bambino ha forato i cieli per portare Dio in terra.
Sconvolgente pensare che quell’uomo era Dio.
Difficile accettare e capire il modo in cui è entrato e uscito dalla scena del mondo. L’ingresso solenne, impastato di sterco e paglia, e la sua uscita, conficcato in un crudele legno traverso. Una cosa strana. E tutto questo per portare … luce!
Di anno in anno, ho avuto modo di vedere, sentire ed incontrare moltitudini di genti che, per quest’occasione – dove sono sempre stato la “primadonna” – hanno investito attese, desideri e curiosità e, alla sera del mio giorno, si sono ritrovati come … trasformati!
Rasserenati e nuovi. Proprio come quella luce nuova di un sole splendente che non lascia nessuno spazio al buio. Il sole invitto: quello che nessuno può spegnere.
Sono diventato, nel tempo, il “Giorno dei giorni”.
Il giorno dei buoni sentimenti. Il giorno del regalo, atteso o inaspettato. Il giorno dei pranzi solenni, dei giochi e delle chiacchiere. Il giorno delle Messe cantate e solenni. Il giorno dove ogni terra ha creato le sue tradizioni. Il giorno dove tutti si sentono diversi, riappacificati e sereni.
Beh, non sempre così: non dappertutto e non per tutti.
Sono un giorno triste e cupo, per chi piange chi non c’è più. Per chi, attorno alla mensa, preparata a festa, fa i conti con sedie vuote o piatti vuoti (dove, spesso, neanche quelli ci sono più). Giorno malinconico e tenebroso, per tante case in cui la solitudine continua a farla da padrona, e ancor più si amplifica. Giorno infelice, per chi cerca e non trova. Giorno tremendamente vuoto, per chi non sa dove cercare il suo significato. O l’ha perso e non lo trova più. Forse, solo perché non cerca più.
Mi hanno rivestito di luci. Le accendono dappertutto, fin da mesi prima. Molte sono stupendamente belle. Sono orgoglioso. Mi ricordano tanto quella luce che da sempre si è celebrata. Temo, però, che molti le accendano senza neppure chiedersi il perché. Forse, semplicemente, perché così fan tutti.
Io l’ho scoperto da me. Sono le luci che riportano in quella stalla, improvvisata a sala parto, nelle colline fuori la città, dove è entrato il Dio della vita che ha scelto di farsi uomo perché gli uomini possano farsi Dio. Peccato che molti non lo sappiano, l’abbiano dimenticato o non vogliano saperne!
Posso confidarvi che, malgrado tutto, ultimamente mi sento sempre più orfano e più solo anch’io. Sempre più sono quelli che festeggiano, senza il festeggiato. Che mi solennizzano, rivestendomi maestosamente, senza però preoccuparsi che ciò che conta è visibile solo dagli occhi del cuore.
Quante anime senz’anima. Quante mani senza braccia, pronte a prendere più che a dare. Quanti sorrisi simulati. Quanto correre senza camminare. Quanta ansia senza ritmo lento del respiro.
Quanto astio senza ragione. Quanta paura di accogliere. Quanta fatica nel lasciarsi amare. Quanta diffidenza verso un nuovo che avanza. … quanto spreco di energie per poco o nulla. Quante liti per un nonnulla.
Vi assicuro: ne ho viste tante. Ma, forse, mai come oggi, ho visto tanta tristezza e incrociato tanti sospiri e tante lacrime.
Io, però torno… anzi: sono qui! Per dirvi che dall’altra parte della porta a cui bussate, c’è sempre quel bambino-Dio pronto ad aprire.
Quel Dio-bambino, che scommette e si mette in gioco con chi la vita la vuol giocare da protagonista e non accetta di farsi giocare da alcuno.
Ah, dimenticavo… il bello di quel Dio-bambino è che ha scelto di non nascere solo una volta l’anno, bensì ogni giorno. Se volete, io sarò sempre qui.
Ogni giorno potrà essere il mio Giorno, Natale … di luce e di speranza. Non temete!
E se vale il detto, che a Natale bisogna essere più buoni, allora ben venga esserlo ogni giorno. E luce sia!
Baci! Vostro, Natale