Off, On … Ora ci vedo!

cieco nato testo

Acceso, spento. Spento, acceso. Ops… meglio dire On e Off, Off e On! Oggi funziona così.
Un piccolo tasto. Un interruttore. Una piccola spinta e tutto cambia. Se buio, si ritrova la luce. Se alla luce, ci si ritrova al buio. Un gesto banale, che ritma numerose azioni delle nostre mani. Che bella invenzione!
La luce accesa, nelle lunghe serate invernali e nelle notti dei giorni, diventa per magia il colpo d’ala che vanifica ogni paura.
Buio è sinonimo di paura.
Paura di inciampare. Di cadere. Di farsi male. Paura di non trovare ciò che si cerca.
Paura …della morte. Il buio ti avvinghia in una morsa. Tutto perde forma.
Il respiro si agita. Ogni certezza vacilla. Il passo non può che essere incerto e la meta dell’andare … svanisce.
Nel buio, ci si perde.

Chissà cos’ha vissuto quel giovane sventurato di 2000 anni fa, cieco dalla nascita, che un giorno incrociò i passi dell’Uomo di Nazareth!
Cieco. Povero, mendicante per necessità e per di più dis-graziato. Non amato da Dio, secondo la Legge del tempo. Colpevole di peccati gravi, suoi o dei suoi avi: almeno, così erano convinti tutti. Bandito alla vista dei puri. Una presenza da relegare ai bordi della socialità. In lui non c’è benedizione celeste.
La sua casa era la strada. Conosciuto da tutti. Schivato da tutti.
Inattivo, inutile. Uomo dalla mano tesa. Intralcio al cammino di molti passi distratti.
Uno scarto della credenza religiosa, culturale e sociale, che non passa inosservato al gruppo dei discepoli: ha peccato lui o i suoi genitori? Ma, per il loro Maestro, quell’uomo diventa provvidenziale presenza per schiacciare, davanti a tutti, il pulsante dell’on/off. Dal buio, la luce. Io sono la luce. Sono il giorno che non conosce tramonto. Che non lascia spazio al buio della notte.

E così – come fu per la primordiale creazione – impastata un po’ di polvere con la saliva della bocca di Dio, crea il balsamo prodigioso. Prodotto artigianale e creativo, che muta ogni cosa. L’uomo di Nazareth si sottomette però – quasi con rispetto – alle ritualità del tempo. Quelle da vivificare. Manda quel poveraccio, dagli occhi impastati di fango, a lavarli con l’acqua di Siloe.

Siloe. La piscina delle purificazioni.  Dove si scendeva e si risaliva. Rituale gesto di liberazione, al quale anche Gesù si affida.

Quell’uomo, solo, povero, cieco, maledetto da Dio, si fida e va. Con il fango negli occhi, si fa largo tra la folla e scende a lavarsi, come ordinato da quel misterioso, eppur autorevole, personaggio. Si fida di lui. È fede!

La piscina di Siloe. Prodigioso luogo, dove i sacerdoti del Tempio, con la brocca d’oro, prendevano l’acqua da versare sull’altare dell’offerta. Memoriale dell’acqua donata da Dio a Mosè nel deserto, in un passato lontano.
Un’acqua però non più zampillante, ma ormai stagnante, nella profondità di quella vasca.
Piscina della purificazione. Allegoria di una religiosità consunta, puzzolente, stagnante, marcia e ammuffita.
Come quella del pozzo patriarcale di Sicar, sopra al quale si era seduto il Cristo, per offrirsi alla donna come acqua nuova, diversa, vivace, fresca e zampillante.
Sarà quello sventurato a ridare vivacità sacra a quell’acqua spenta. E così, ogni spazio rivestito di buio, assume i colori e i contorni della creazione: un mondo mai potuto leggere prima. Ora ci vede!

L’esultanza per una dignità di vita ritrovata, si impasta però con un clamore che gli diventa insopportabile.
Il signor nessuno, che ora ci vede, “da miracolato, si ritrova imputato” (E. Ronchi), nel tentativo dei sapienti di incastrare l’uomo venuto dalla Galilea.
Un incalzare di domande. Di insistenti richieste di false ammissioni. Di impotente desiderio di incastrare la novità di Dio. In nome della legge! … Antica. Morta!

Con la potenza della semplicità dei puri, quel poveraccio chiude ogni partita e ogni processo. “Credo, Signore!”. Come dire “Amen”. Basta. Non mi interessa nulla. Ero cieco, ora ci vedo! Stop. Lasciatemi in pace. “Credo, Signore”.

Per lui ora tutto è più di prima. Vede e scopre le cose di cui conosceva solo il nome.
La potenza di un interruttore divino. Di un “on” che cambia l’esistenza. Dal buio, la luce. Occhi che vedono e che penetrano. Occhi lucenti come specchio dell’anima. Di un animo nuovo. Di una vita nuova.
Gesù ridona la luce del cuore alla miseria del debole, che apre ai sapori dei gusti prelibati della vita. Dei suoi colori, dei suoi incontri, della sua saggezza: in una parola… della sua Bellezza!

Quanto buio, dentro e fuori al cuore di un’umanità peregrina! Della mia umanità. Della vita, dal passo incerto, di chi barcolla, in cerca di benessere.
Quanta fatica per ritrovare l’umile e potente piacere della vita. Di svelare un segreto, che segreto non è più. Anche ieri, oggi e domani, la mano benedicente del Cristo, schiaccia quel tasto perché anch’io possa vedere. Spalma il fango che rischiara.
Ha bisogno però anche della mia mano per spingersi oltre e diventare  – per me e in me –  Luce.
Il segreto è tutto lì. Lasciarsi impastare da Lui e – dentro le pieghe del buio – fidarsi.
Lavare, da ogni impedimento, il cuore arido e lasciar veicolare il suo bagliore, che schiaccia ogni paura. Che spinge il passo verso l’Aurora che benedice la mia e le nostre esistenze.

È la luce della fede. Quel cieco si è fidato dello sconosciuto uomo di Galilea, prima ancora di vedere. Ancora cieco, con il fango negli occhi, si trascina alla piscina.
Quanto fango il Signore, il Cristo, sta impastando per i nostri occhi, con il soffio vitale del Creatore, per ridonare qualità di esistenza nuova!
A quante piscine ci manda per completare l’opera! Sono gli incroci banali di ogni giorno, che diventano occasione propizia per intercettare i passi di Colui che è la Luce del mondo. Del mio mondo.

Una vita che ci parla di fede.
Credo, Signore!
E questo mi basta. Perché perdere tempo in altre direzioni?

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