Prima di Quaresima “Sono una donna non sono una santa”

Sono una donna non sono una santa, non tentarmi non sono una santa

Irriverente più che mai, questo antico tormentone dei tempi passati. Forse, però, ben si addice alle Parole che, in questa prima domenica di Quaresima, si dilatano da tutte le chiese del mondo cattolico romano.

Non tentarmi, non sono un santo. Magari fosse questo oggi il tormentone che si fa preghiera. Conosci le mie fragilità, le mie debolezze, non tentarmi ti prego, rischio di soccombere alla presa avvinghiante del simbolico serpente.

È un serpente ad aprire le danze di questa domenica liturgica.

Il serpente. Una linea retta che prende forma vivente. Una flessibilità che si adatta a ciò che gli sta attorno. Che si maschera, si confonde, si ripara nelle fenditure della terra, ama il sole, l’acqua, le paludi e i rami degli alberi.

Animale misterioso, custode di un immenso potere primordiale, ama celarsi nel tepore del profondo ventre della Grande Madre – luogo primigenio nel quale tutti i segreti sono conservati con cura e le antiche energie terrestri scorrono e si concentrano -.

Da sempre il suo mutare pelle lo rende simbolo di rinnovamento e rinascita che può portare all’immortalità. Il suo veleno è associato al potere di guarire, avvelenare o donare una coscienza espansa, addirittura l’elisir di lunga vita o di eternità. Il caduceo (due serpenti attorcigliati ad un palo) diventa familiare simbolo in medicina e caloroso benvenuto ogniqualvolta si entra in una farmacia.

Ed è così che Eva, simbolica primadonna apparsa in scena, è tentata proprio da colui che è archetipo simbolo di immortalità. “Non tentarmi non sono una santa”. Appunto!

Ma lui, il tentatore per costituzione, non si ritrae ed è così che nella scena della bucolica vita paradisiaca fa entrare in gioco il male.

Il Maligno. Colui che ama dividere, allontanare, solleticare con le sue accattivanti promesse di una vita diversa, più bella, più …divina.

Ed è sempre lui, dopo tanta attesa, ad uscire dalle tane del deserto, che lancia il guanto della sfida al Figlio dell’Uomo giunto lì per “essere tentato”.

Gesù, provato dalla stanchezza e dal pesante rigore di 40 giorni di vita solitaria tra le crepe di un assolato deserto, apre la partita con l’artista della divisione, delle lusinghe facili, del gioco al ribasso che spinge verso percorsi di vita semplificati.

Gesù, uomo tra gli uomini, deve combattere anche lui, ma il suo canto ritma un ritornello diverso: “puoi tentarmi, sono un santo”.

Pietre che possono diventare pane: e Dio solo sa quanto lo stomaco, attanagliato, sperava avvenisse!

Un volo libero sulla città santa: desiderio di ogni uomo di potersi librare nei cieli come gli uccelli del campo.

E poi ancora, il potere! Inguaribile aspirazione di poter dominare ogni cosa. Il potere che è possedere. Avere e disporre liberamente di ogni cosa.

Questo è il menù offerto e posto in piatto d’argento dalla sottile e viscida lingua biforcuta e attraente di colui che, per tradizione antica, è simbolo di immortalità, a Colui che degli uomini è Figlio e Maestro.

La forza del cuore e la promessa di fedeltà, però, non schiodano Colui che è ben saldo in Dio!

Non adorare alcuno se non Dio solo.

E così la scena prosegue e si ripete dentro le pieghe di ogni storia e di ogni tempo.

Lui, il sapiente e arguto tentatore, come un geloso amante, cerca la sua rivincita contro l’Autore della Vita. Non si dà pace nell’assistere all’agire di un Dio che, in Gesù, ha scelto di sporcarsi le mani con gli uomini e per gli uomini. Non accetta che l’uomo ritrovi la sua divinità, pur tra i meandri delle ferite e debolezze di ogni giorno.

Nella sua tormentata rabbia, continua il suo morso. Vestendo gli abiti della festa, lancia i suoi spot per accattivarsi la simpatia di molti. Si maschera, si cela e resta lì. Pronto, in agguato: per continuare ad indurre l’uomo a cedere alle sue lusinghiere proposte.

Oggi, più di ieri, trova terreno fertile per il suo palato prelibato. Oggi più di ieri, nel diffuso abbandono dei suoi legami con Dio, l’uomo diventa cibo succulento per chi è capace di offrire solo apparente qualità di vita nuova.

Povero uomo! Dimentico del suo essere incalmato in Gesù, si lascia andare in una tragica deriva, che gli impedisce di cibarsi di un unico pane a scadenza illimitata, garanzia di eternità.

Non solo: tale deriva gli impedisce anche di potersi librare in volo nei cieli della vivace energia dello Spirito e gli impedisce di avere un unico Dio, schiacciato com’è dagli idoli imperanti del momento.

Non tentarmi, non sono un santo”. Nulla di più falso, per chi stringe forte la propria mano in quella del Risorto e non si abbandona alla deriva fuorviante delle nuove comunicazioni, che allontanano dalla verità.

40 passi quaresimali per sincronizzarli a quelli di Gesù e giungere così alla Pasqua, sfidando a viso aperto il seduttore:tentami pure, sono un santo”. Non per i miei meriti, ma grazie a Colui al quale mi tengo ben stretto, che, battendo in duello la morte, è salito sul podio più alto.

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