Non era la prima volta che il giovane prete attraversava Milano di notte: era la sua città, aveva imparato a conoscerne i contrasti e sopire la paura. Il suo cuore batteva forte, ma andava, tuttavia, in mezzo alla nebbia di quella giornata grigia e fredda.
Improvviso, repentino come un serpente, gli si parò dinanzi un’ombra, che gli intimò di consegnargli il portafogli. Egli, alquanto contrariato, non si mosse, né parlò: fissò solamente il ragazzo che gli era davanti (poiché di questo si trattava). Riavutosi dalla sorpresa, si avvicinò allo scarmigliato ragazzino e lo accarezzò bonariamente, domandandogli il motivo di tale comportamento. Divincolandosi sotto la sua mano con ribrezzo, rispose: «Voi sarete benedetti da Dio, con il vostro colletto bianco. Noi, però, siamo maledetti. Di quelli come me Dio si è dimenticato!».
E i suoi occhi, vivaci e svegli, erano velati di tristezza, benché la voce fosse sicura, anzi, presuntuosa.
Il prete non raccolse la provocazione ed affermò: «Io non sono benedetto».
Il ragazzo parve avere un sobbalzo, spiazzato dalla risposta, pacata ma imprevista del sacerdote. «Ma se non lo sei tu, chi, allora?» si trovò a controbattere, avvertendo solo in seguito lo stupore di discorrere con un prete sconosciuto a notte ormai fatta.
«Io non sono più benedetto di te, agli occhi di Dio. Egli stesso, infatti, disse di far più festa in cielo per un peccatore pentito che per cento giusti» precisò allora il sacerdote.
«No, quelli come me non li vuole nessuno» sospirò, con gli occhi bassi, rivolti al marciapiede.
«Ti sbagli. Dio è venuto proprio per amare quelli che nessuno vuole» lo corresse con pacatezza, cercando una reazione negli occhi del suo interlocutore; si accorse solo allora che questi se ne stava andando. Istintivamente, volle fermarlo; il suo braccio restò, però, a mezz’aria e solo le sue parole riuscirono a farlo arrestare, sebbene non a farlo volgere: «Non ho nulla con me, ma se vuoi seguirmi in canonica, puoi mangiare con me».
«Prete, mi stai facendo perdere tempo!» rispose brusco, riprendendo a camminare. Arrivato all’angolo, invece di svoltare, si girò verso il prete (che, nel frattempo, era rimasto immobile) e, di rimando, aggiunse, guardandolo per la prima volta negli occhi: «Io non ho speranza. Ma mi piacerebbe poter essere come te e credere che quello che dici sia vero!». Quindi, girò a sinistra e scomparve dietro l’angolo.
Scostò l’anta che sovrastava la grata del confessionale, sebbene non fosse troppo speranzoso. La giornata era luminosa e la temperatura gradevole, tanto che poteva essere considerata una giornata primaverile, nonostante il calendario indicasse chiaramente che era ancora inverno: non era certo difficile scegliere tra il Signore ed una passeggiata a profittare del tiepido sole. Sospirò a questi pensieri, domandandosi quanto potesse fare per cambiare ciò che nel mondo non gli andava a genio, e giunse le mani, sperando che la sua silenziosa preghiera giungesse a Dio.
In quel mentre, udì dei passi dall’esterno del confessionale e si riscosse. La grata non gli fu d’intralcio nel distinguere quella fisionomia nota. Riconobbe in lui il ragazzino scarmigliato, incontrato qualche mese fa e scoprì di non esserne affatto sorpreso. Non si stupiva ormai più di niente, o, forse, si stupiva proprio di tutto, solo che il suo stupore si tramutava in limpido e sincero ringraziamento, prima che potesse assaporarlo. Gli sorrise, quindi, come ad un vecchio amico. Sbadatamente, iniziò a tracciare il segno di croce, ma si fermò a mezz’aria e corresse il tiro, domandandogli goffamente: «In cosa posso esserti utile?»
«Non sono certo qui a prender benedizioni!» rispose, seccato.
«Forse ne avresti bisogno…» azzardò il sacerdote.
«Forse? Be’, non ne voglio. Senti, questo lo dici perché sono un accattone, vero? Tu pensi che sia povero? »
«Dipende cosa intendi. Gesù amava molto i poveri. Ma non c’è un solo modo di essere poveri. Tu mi sembri soprattutto povero d’amore, di comprensione. Noi siamo fatti per stare insieme; tu mi sembri molto solo. Alla tua età si dovrebbe essere sereni, fiduciosi nell’avvenire. E tu…»
«Molte cose non vanno come dovrebbero!» rispose il giovane, interrompendolo in malo modo, infastidito. Il prete si accorse che nei suoi occhi c’era qualcosa di profondamente cambiato.Vi scorse una speranza nuova, che li faceva brillare; una speranza che l’altra volta non aveva visto e non perché era buio, ma (ne era sicuro) perché proprio non c’era. Si avvide anche che il suo modo di fare si era mantenuto strafottente, ma si guardò bene dal farglielo notare: se lo avesse fatto, il ragazzo avrebbe interrotto ogni discorso ed egli si sarebbe così lasciato scappare la pecorella smarrita che il Padre voleva ricondurre a sé tramite il suo aiuto.
Il momento di riflessione urtò il ragazzo, che picchiettò contro la grata.
«Senti, non preferisci che parliamo faccia a faccia, visto che non sei qui per confessarti?».
«No, preferisco che tu stia dietro le sbarre, così capisci cosa significa, visto che non ci sei mai stato!» fu l’inaspettata rispose che si trovò ad ascoltare il sacerdote.
«Veramente, ci vado in visita una volta la settimana…» rispose ingenuamente il prelato.
Il ragazzo scoppiò a ridere, di un riso nervoso e sforzato. «Guardare è diverso da viverci, o meglio sopravviverci. Io te lo posso dire: ci sono stato fino a tre mesi fa. Era un carcere minorile; ti posso assicurare, tuttavia, che non si soffre meno!» sorrise mestamente e il suo sguardo sembrò, in quel momento, persino eccessivamente adulto.
«Hai ragione!» rispose soltanto il prete, accortosi della gaffe.
«È davvero buffo che un prete mi dia ragione. Da quanto porti la sottana?» gli domandò l’altro, che sembrava essersi raddolcito a quell’ammissione.
«Dieci anni. Da quando ne avevo 25. E tu non ne avrai più di quattordici, vero?» replicò il sacerdote.
«Esatto. Ma nel mondo non conta l’età, l’importante è essere furbi!» ribatté, lesto, il ragazzo.
«Questa volta, sbagli.» lo corresse, con un sorrise, il prete. «Essere furbi non serve a vivere; la furbizia ti fa campare, ma vivere è un’altra cosa. La furbizia non ti può rendere felice»
«E cosa, allora, può rendere felici?» domandò, alzando impetuosamente la testa, cosicché il prete scorse nei suoi occhi una curiosità vivida, se non avida.
«L’uomo brama la felicità. È forse l’unica cosa ch’egli ricerca con tutte le proprie forze. Ebbene tante sono le felicità ch’egli trova per rimpiazzare la Felicità, ma tutte quante sono effimere. Non per compiacere me e nemmeno il Papa in persona devi fare le tue scelte. Ascoltami, però, perché, in questo momento, ti sto parlando come credente cattolico e non come prete cattolico. Ogni anima anela di conoscere Dio e non basta una vita intera per farlo: un credente è chi si affida ad un Dio che, fondamentalmente, non conosce, ma lo ricerca ogni giorno e si sforza di obbedirGli. Non fa null’altro che cercare di amare l’Essere da cui si sente amato e questo solo lo rende felice». Lo vide alzarsi e concluse: «Pensaci, promettimi che ci penserai!».
Mentre si spolverava i pantaloni, si alzò e rispose, con sufficienza: «Ci penserò, ma non è nulla di serio!».
Dal confessionale, il sacerdote udì chiudersi una porta secondaria della chiesa.
La storia del giovane povero non l’avevo ancora letta….bella,ma triste , mi fa pensare …. Quanti potenziali giovani si troveranno in questa situazione?!
Saranno soli ?!
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